La Giuria del Premio, Sezione 1 (letteraria) ha deciso di rendere note tutte le opere e relativi autori che sono stati oggetto di segnalazione da parte dei giurati ritenendo in tal modo di contribuire a valorizzare e fare conoscere anche le opere cui non è stato assegnato il Premio ma che presentano un elevato profilo culturale.
Si riportano pertanto di seguito delle brevi schede per ogni autore ed opera, indicando le ragioni per le quali si ritiene che l’opera sia di particolare pregio. L’elenco non rispecchia alcuna graduatoria.
NATHAN ENGLANDER
per
“Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank” , Einaudi, Torino, 2012
Nathan Englander è nato a New York nel 1970, ed è cresciuto nella comunità ebrea ortodossa di West Hempstead. Giovanissimo si è trasferito in Israele per diversi anni, per poi ritornare negli USA, dove vive tutt’oggi. E’ autore della raccolta di racconti “ Per alleviare insopportabili impulsi”, Einaudi 1999, che gli è valsa il PEN/Malamud Award e il Sue Kaufman Prize for First Fiction, e del romanzo “Il ministero dei casi speciali”, Mondadori 2007.
Nel 2012, sempre per Einaudi, ha pubblicato la raccolta di racconti
“Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank”
Con una narrazione brillante e ironica l’autore affronta in otto racconti temi come l’ortodossia e le sue contraddizioni, la tensioni tra libertà individuale e desiderio di appartenenza, l’ambiguità dell’idea della giustizia, il rapporto tra oppressori e oppressi, il modo in cui l’individuo affronta la memoria e la storia, le paure e il bisogno d’amore di ogni individuo.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Giorgetti – sezione letteraria?
Americano, figlio e nipote di americani, Englander è cresciuto nella comunità ortodossa newyorkese, «un mondo in cui tutto era o bianco o nero, – dice a Livia Manera per laLettura, – per questo ho sviluppato un’ossessione per le zone grigie». Ed è in queste zone grigie – le tensioni tra libertà individuale e desiderio di appartenenza, l’ambiguità dell’idea di giustizia, la fallibilità della memoria personale e storica, il rapporto tra oppressori e oppressi – che si muovono gli otto racconti che compongono Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank.
E se nella scrittura, come nella vita, Englander non può prescindere dai temi e dai riferimenti della cultura ebraica, appare chiaro in fretta che a interessarlo non è tanto la Storia in sé, ma piuttosto le sue interpretazioni, le rielaborazioni, il modo in cui l’essere umano si relaziona al proprio passato individuale e collettivo. «Per me la Storia – che sia il ricordo dell’Olocausto o il primo insediamento di coloni – è solo il punto di partenza per esplorare l’arte e la bellezza», ha detto ancora a “la Lettura”
MARIA G. DI RIENZO
per
“Voci dalla rete: Come le donne stanno cambiando il mondo”, Forum editore 2011
Maria G. Di Rienzo, scrittrice, commediografa, giornalista, formatrice alla nonviolenza.
Nata a Palmanova (Udine) nel 1959, è residente a Treviso.Ha fatto parte della Compagnia teatrale dell’Anello. Collabora regolarmente al mensile gay Babilonia
“Voci dalla rete: Come le donne stanno cambiando il mondo”, Forum editore 2011
Una raccolta di testimonianze pubblicate su «Lunanuvola’s Blog» cinquantanove per la precisione, da lei raccolte, tradotte, adattate. Echi femminili che arrivano a noi da tutto il pianeta, dall’Afghanistan allo Zambia, dall’Iran agli Stati uniti, e che restituiscono un affresco mondiale delle discriminazioni e dei crimini contro le donne. Ma anziché essere una sequela di lamentazioni, il libro è piuttosto un inno corale alla vita e un’iniezione di ottimismo. «So che vinceremo» è il titolo dell’ultimo intervento, e vittoria, coraggio, libertà e dignità sono le parole ricorrenti di queste donne che raccontano e, con la narrazione delle proprie vite, cambiano la Storia. Esperienze personali uniche ma simili, che sollecitano la necessità e improcrastinabilità di una trasformazione radicale delle relazioni di potere tra i generi. Pagina dopo pagina si prende dolorosa coscienza che nel mondo c’è una guerra silenziosa, trasversale e non dichiarata, una guerra contro le donne che si manifesta in forme diverse, talvolta subdole, altre volte evidenti, ma con un comun denominatore: la marginalità e la sottomissione di metà della razza umana.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Letterario Marisa Giorgetti?
Citando quanto affermato nella copertina del libro curato da Maria di Rienzo, “trasformare le relazioni di potere tra generi è oggi l’ultima frontiera per il cambiamento sociale. In tanti luoghi del mondo le donne sfidano condizioni di marginalità o di sottomissione, sceneggiando in modo diverso le loro vite. Lo fanno con energia, intelligenza, coraggio e perseveranza. E’ un messaggio per tante altre donne che, leggendo delle loro esperienze, troveranno la forza di agire in prima persona.”
GABRIELE DEL GRANDE
per
“Il mare di mezzo” – Infinito Edizioni – 2010
Gabriele Del Grande, Toscano, viaggiatore e scrittore. Nato a Lucca nel 1982, si è laureato a Bologna in Studi Orientali. Scrive su L’Unità, Redattore Sociale e Peace Reporter e collabora con Lettera27. Nel 2006 ha fondato l’osservatorio sulle vittime dell’emigrazione Fortress Europe e da allora si dedica anima e corpo all’analisi e alla diffusione di informazioni riguardanti le rotte migratorie e le storie dei migranti con una particolare attenzione alla verifica dei fatti e all’incontro personale con le donne e gli uomini di cui parla. Fra le sue pubblicazioni ci sono “ Mamadou va a morire”(2007 edizioni Infinito) e ha collaborato a Come un uomo sulla terra (2009).
“Il mare di mezzo” – Infinito Edizioni – 2010
Una coraggiosa esplorazione sulle due sponde del Mare Mediterraneo lungo le rotte dei viaggiatori di ieri e di oggi, di donne, uomini e non di rado bambini che cercano un futuro e trovano una barriera di acciaio e pregiudizio, alla mercè di mercanti di esseri umani, feroci carcerieri e crudeli accordi internazionali, come quello tra Italia e Libia.
Gabriele Del Grande – espulso dalla Tunisia e nella lista nera dei servizi segreti locali – si mette sulle tracce dei somali e degli eritrei respinti in Libia, facendo luce sul più misterioso naufragio mai verificatosi sulla rotta per l’Italia. La rete di informatori dell’Autore si allarga dalla costa meridionale del Mediterraneo all’Italia e ai centri di espulsione. Ne nascono inchieste su truffe e pestaggi. E parecchi guai. Ma – come insegnano i pescatori di Mazara – non ci si può girare dall’altra parte. E il viaggio alla ricerca della verità continua, dal Nilo al Burkina Faso.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Letterario Marisa Giorgetti?
“Il mare di mezzo” è il risultato di tre anni di inchieste, viaggi ed esplorazioni. È un libro importante che nasce dalla passione, dalla competenza e dal coraggio dell’autore, e che merita essere letto, pensato e diffuso. Una grande sfida editoriale ampiamente vinta, che ha acceso una luce nuova e inedita sul mondo delle migrazioni e su un’Italia che, volente o nolente – nonostante razzismo e xenofobia largamente elargiti da una classe politica impreparata e insufficiente – lentamente sta trasformandosi e sta diventando un Paese migliore, un Paese più ricco grazie all’incontro tra nuove culture, storie, visi.
MICHELA MURGIA
per
“L’incontro”, Einaudi 2012
Michela Murgia (1972) è nata a Cabras. Tra i suoi libri “Il mondo deve sapere” che ha ispirato il film di Virzi Tutta la vita davanti. Di formazione cattolica è stata educatrice e animatrice nell’Azione Cattolica, nel ruolo di referente regionale del settore giovani.
Ha un blog, “Il Mio Sinis” nel quale descrive, anche con ritratti fotografici, la penisola del Sinis.
Nel 2007 è già tra i 42 scrittori riuniti da Giulio Angioni in Cartas de logu: scrittori sardi allo specchio e nel 2008 pubblica, per Einaudi, Viaggio in Sardegna, una guida a luoghi meno noti dell’isola.
Nel 2009 pubblica, sempre per Einaudi, il romanzo Accabadora, una storia che intreccia nella Sardegna degli anni cinquanta i temi dell’eutanasia e dell’adozione. Con Accabadora ha vinto la sezione narrativa del Premio Dessì nel 2009. Nel 2010, sempre con Accabadora, vince il SuperMondello nell’ambito del Premio Mondello e nel settembre dello stesso anno vince il Premio Campiello.
“L’incontro”, Einaudi 2012
Un romanzo breve molto ben scritto, che racconta la nascita di un conflitto in una piccola comunità. La decisione di creare una nuova parrocchia divide in due gruppi la popolazione e dei giovani amici compagni di giochi. Sarà però il loro legame infantile e ludico a risolvere il conflitto durante la festa del patrono. Molto teatrale nelle processioni dove le statue del Cristo e della Vergine sembrano essere i pedoni degli scacchi che si scontrano nella guerra di paese, leggero e divertente dal punto di vista dei ragazzi che subiscono il conflitto degli adulti e non ci stanno al loro gioco perverso.
In quella crepa della comunità l’estraneo può assumere qualunque volto, persino i capelli rossi di un inseparabile compagno di giochi.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Letterario Marisa Giorgetti?
In questo racconto insieme comico e profondo, la penna inconfondibile di Michela Murgia ci regala un’appassionata storia di formazione in cui il protagonista scopre – insieme al lettore – cosa significa dire noi. Si dedica a scandagliare le radici delle ingiustizie di questa società, raccontando delle storie umane e calde tra i profumi e i chiaroscuri della Sardegna.
OGNJEN SPAHIC
per
“I figli di Hansen”, Zandonai 2012, Hansenova Djeca, 2004,
lingua serbo-croato, traduzione in italiano di Liliana Avirovic
Ognjen Spahic (1977) è nato e vive a Podgorica, Montenegro dove collabora con il quotidiano indipendente “Vijesti”. Dopo studi di inegneria civile e Filosofia si dedica alla letteratura ed è il più noto tra le nuove leve della letteratura montenegrina. Il suo romanzo “I figli di Hansen” gli è valso il Premio Mesa Selimovic nel 2005, per il miglior romanzo dalla Croazia, Serbia, Montenegro e Bosnia-Herzegovina.
“I figli di Hansen”, Zandonai 2012, Hansenova Djeca, 2004,
In un angolo sperduto della Romania meridionale, gli undici reclusi dell’ultimo lebbrosario d’Europa vivono nella rassegnata attesa che il loro destino si compia. È l’alba del 1989, anno destinato a segnare le sorti di un intero continente, quando una serie di drammatici eventi sconvolge i precari equilibri della piccola comunità di lebbrosi, i figli di Hansen. Sullo sfondo degli ultimi deliranti giorni della dittatura di Ceauşescu, vividissimi quadri di vita quotidiana all’interno del ghetto fanno da controcanto alla commovente storia dell’amicizia tra due internati, del loro tentativo di fuga – tra entusiasmi improvvisi e laceranti delusioni – e delle atroci efferatezze compiute al solo scopo di mantenere vivo un barlume di speranza.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Letterario Marisa Giorgetti?
In questo suo intensissimo romanzo d’esordio, Spahić si dimostra estremamente abile a intrecciare il racconto, crudo e disturbante, della passione di un’umanità reietta e predestinata, con una riflessione lucida e penetrante sul valore della libertà e sulle diverse sfumature che il suo significato assume nell’esistenza di ciascuno di noi.La scrittura è straordinaria e tocca il tema dell’esclusione e del significato della libertà nella migliore tradizione della letteratura balcanica.
CARLO STASOLLA (Menzione speciale 2013)
per
“Sulla pelle dei rom”, Edizioni Alegre, 2012
Carlo Stasolla, 44 anni,esperto di questioni sociali, ha vissuto per 14 anni nei “campi nomadi” della capitale. Coordina il centro di accoglienza per minori a famiglie “Pedro Arrupe”, attivo dal 2001 e all’interno del quale vengono accolte famiglie di rifugiati e richiedenti asilo, minori non accompagnati con difficoltà psico-fisiche e sociali e donne in situazioni di disagio psico-sociale. É tra i fondatori dell’Associazione 21 luglio che dal 2010, sostiene battaglie in difesa dei diritti dei minori, ponendo in particolar modo attenzione nei confronti di quelli esposti a situazioni di discriminazione (minori migranti, minori di etnia rom) È impegnato da alcuni anni nella denuncia delle violazioni dei diritti umani delle comunità rom in Italia, specialmente a seguito dell’adozione dei piani municipali collegati alla cd. “emergenza nomadi” del 2008.
Sulla pelle dei rom, Edizioni Alegre, 2012
Questo libro-inchiesta svela i retroscena del Piano Nomadi di Roma: una spesa di 60 milioni di euro, quasi 500 azioni di sgombero, violazioni dei diritti umani, proliferazione degli insediamenti. Piano “benedetto” dalla Chiesa, che si rivela un colossale affare per un ampio ventaglio di organizzazioni del terzo settore (cooperative di sinistra, associazioni di destra, mondo cattolico, enti pubblici ecc.).
Dietro l’apparenza di “progetto di inclusione sociale”, si nasconde infatti l’“azienda Piano Nomadi”, prima produttrice a Roma di discriminazione, segregazione, violazione dei diritti umani.
L’autore, con dettagliata precisione, elenca le cifre, le persone, le associazioni e gli interessi coinvolti, e racconta gli sgomberi e i soprusi con gli occhi di combattuti.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Letterario Marisa Giorgetti?
Un libro di denuncia delle politiche del comune di Roma nei confronti dei rom e uno sguardo premuroso e affettuoso nei confronti di poche migliaia di persone che loro malgrado sono state trasformate in una “emergenza” nel territorio della capitale. Un libro utile per smontare stereotipi e smascherare gli interessi economici e il business legati al “Piano nomadi”
PAOLO RUMIZ,
per
“Trans Europa Express”, Feltrinelli, 2012
Paolo Rumiz (Trieste, 20 dicembre 1947) , inviato speciale del “Piccolo” di Trieste ed editorialista de “la Repubblica”, esperto del tema delle Heimat e delle identità in Italia e in Europa, dal 1986 segue gli eventi dell’area balcanico-danubiana. Ha vinto il premio Hemingway nel 1993 per i suoi servizi dalla Bosnia e il premio Max David nel 1994 come migliore inviato italiano dell’anno. Ha pubblicato, tra l’altro, Danubio. Storie di una nuova Europa (1990), Vento di terra (1994), Maschere per un massacro (1996), La linea dei mirtilli (1993; 1997), Gerusalemme perduta (2005), Annibale. Un viaggio (2008), La cotogna di Istanbul (2010).
“Trans Europa Express”
Seimila chilometri a zigzag da Rovaniemi (Finlandia) a Odessa (Ucraina). Un percorso che sembra tagliare, strappare l’Europa occidentale da quella orientale. È una strada, quella di Rumiz, che tra acque e foreste, e sentori di abbandono, si snoda tra gloriosi fantasmi industriali, villaggi vivi e villaggi morte.E più si avanza, più si ha la sensazione di non trovarsi su qualche sperduto confine ma precisamente al centro, nel cuore stesso dell’Europa. Attraversa dogane, recinzioni metalliche, barriere con tanto di torrette di guardia, vive attese interminabili e affronta severissimi controlli, ma come sempre conosce anche la generosità degli uomini e delle donne che incontra sul suo cammino.
Siamo di fronte a un libro raro, dettato da una scrittura che magnifica il viaggiare e la conoscenza del mondo.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Giorgetti – sezione letteraria?
La letteratura di viaggio è per sua natura “totale”. Perché mette in movimento il cervello e il corpo, i sensi e l’anima. Paolo Rumiz, che ha sempre fatta sua questa postura, se possibile la accentua ancor di più in Trans Europa Express(già uscito in Francia e ora pubblicato da Feltrinelli), originale viaggio “in verticale” lungo le frontiere europee orientali: dal Mar Glaciale Artico fino a Odessa e oltre, verso Istanbul. Il libro presenta grande capacità e abilità umana di raccontare le storie degli altri o meglio, la storia di quei popoli che ci circondano e che spesso trattiamo con la conoscenza superflua della distrazione.
SANTINO SPINELLI
per
“ Rom gente libera”, Dalai Editore,2012
Santino Spinelli, in arte Alexian, nasce a Pietrasanta. Frequent. Due volte laureato presso l’ Università degli studi di Bologna, la prima in Lingue e Letterature Straniere e la seconda,in Musicologia. È fondatore e presidente dell’associazione culturale Them Romano (mondo romanò). Nel 2001 viene eletto, quale unico rappresentante per l’Italia, al parlamento della International Romani Union (IRU), organizzazione non governativa con sede a Praga, attiva nel campo dei diritti dei popoli rom.
Spinelli è stato docente di Lingua e Cultura Romanì presso l’Università degli Studi di Trieste. Ora è docente di Lingua e Cultura Romanì-Lingue e processi interculturali- presso l’Università degli studi di Chieti. Primo Rom in tutta Europa a detenere tale cattedra. Nel 2003 viene nominato vicepresidente del parlamento dell’IRU.
“Rom gente libera”
Spinelli ricostruisce meticolosamente la storia comune del popolo Rom, dalla schiavitù nei principati romeni all’arrivo in Occidente e in Italia, dalle persecuzioni scatenate in Europa alle misure repressive subite in Italia. Un genocidio infinito. E racconta tutto sulla popolazione romanì, sparsa in ogni continente e che conta almeno 16 milioni di persone. Un viaggio documentato e completo nella storia e nella cultura per raccontare la forza e la tenacia di chi ha difeso libertà e identità.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Giorgetti – sezione letteraria?
Da sempre oggetto di sospetti e vessazioni, di persecuzioni e genocidi (si pensi ai 500mila Rom e Sinti massacrati dai nazisti), eppure di loro non sappiamo nulla, a partire dal fatto che usiamo Rom come sinonimo di “zingari”, mentre invece si tratta di uno dei cinque gruppi etnici (oltre a Sinti, Kale, Manouches e Romanichals) che costituiscono la popolazione romanì
Per la prima volta, uno studioso Rom italiano ci offre una storia complessiva di questo popolo, dalle migrazioni originarie alla situazione contemporanea, abbracciandone la cultura e i valori sociali, le espressioni artistiche, fino alle organizzazioni politiche. Questo racconto ci restituisce l’identità “invisibile” dei Rom, l’evoluzione di tradizioni e valori millenari tramandati nella quotidianità: un’identità ignorata dagli stereotipi dei campi nomadi che trasformano gli errori di pochi in colpa collettiva; relegata nel ghetto della povertà ed esclusione sociale dalle stesse associazioni di pseudo-volontariato; annientata, infine, dall’attuale politica di assimilazione attraverso la Romfobia.
JULIE OTSUKA
per
“Venivamo tutte per mare”, Bollati Boringhieri 2012
Julie Otsuka e nata a California, vive e lavora a New York .Pratica la letteratura e la pittura ed ha ricevuto riconoscimenti e premi letterari negli Stati Uniti.
Il suo primo romanzo, Quando l’imperatore era un dio (2002), dopo aver scalato le classifiche con 270.000 copie vendute negli Stati Uniti, è considerato un classico contemporaneo. Con questo libro, unanimemente giudicato dalla critica un capolavoro, Julie Otsuka ha vinto l’Asian American Literary Award, l’American Library Association Alex Award e una Guggenheim Fellowship.
Nel 2011 pubblica il suo secondo romanzo Il Buddha nell’ Attico, edito nel 2012 in Italia dall’editore Bollati Boringhieri con l’evocativo titolo Venivamo tutte per mare. Un romanzo forte, corale e ipnotico che racconta la vita straordinaria di molte donne che negli anni Trenta e Quaranta del Novecento partivano dal Giappone per andare in spose agli immigrati giapponesi in America.
“Venivamo tutte per mare”,
Una voce forte, corale e ipnotica racconta la vita straordinaria di migliaia di donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America. È lì, su quella nave affollata, che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, che immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l’arrivo a San Francisco; la prima notte di nozze; il lavoro sfibrante, chine a raccogliere fragole nei campi e a strofinare i pavimenti delle donne bianche; la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura; l’esperienza del parto e della maternità, con l’impegno a crescere figli che alla fine rifiuteranno le proprie origini e la propria storia; il devastante arrivo della guerra, l’attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici e internarli nei campi di lavoro. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall’autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua, dando vita a un libro essenziale e prezioso.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Giorgetti – sezione letteraria?
Il racconto sosta, con sobrietà e pudore, sulle ferite che ogni esodo comporta, attraverso uno scavo psicologico di rara profondità ed efficacia, e di rara forza narrativa, rievoca il vuoto lasciato tra quelle case, in quei cortili, tra i banchi di scuola.
Il sentimento di smarrimento riguarda coloro che partono, ma ,per un certo periodo, riguarda anche i loro vicini di casa, i bambini dei vicini, coloro che sono rimasti.
“le campanelle cominciano a inselvatichire nei loro giardini. Le piante di quadrifoglio si propagano da un terreno all’altro. Badili dimenticati arrugginiscono sotto le siepi trascurate” (p.131).
“I giapponesi sono scomparsi dalla nostra città. Le loro case sono sprangate e vuote…I gatti vagano randagi. Gli ultimi carichi di biancheria sono ancora appesi ad asciugare. .In una delle loro cucine un telefono nero continua a squillare”(p.125).
JAMILA HASSOUNE
per
“La libraia di Marrakech”, Mesogea, 2012
Jamila Hassoune vive a Marrakech, dove dirige dal 1994 la sua libreria.Nel 1995 ha fondato il «Club del libro e della lettura». È stata coordinatrice organizzativa delle Carovane civiche promosse da Fatema Mernissi dal 1999 al 2005. Ha lavorato come direttore di produzione e consulente per video documentari sulla condizione delle donne, la società civile e la realtà dell’Islam in Marocco e ha condotto inchieste sui giovani e il loro rapporto con la lettura e Internet. Dal 2006 ha creato la Carovana del Libro e tiene una fitta rete di rapporti internazionali.
Prima de La libraia di Marrakech, alcuni suoi articoli e interviste sono stati pubblicati in Italia sulle riviste Una città eMeridiani.
“La libraia di Marrakech”
Un’infanzia che trascorre tra le mura di casa, ma insieme a tanti libri. Poi la casa diventa una libreria, a Marrakech, e un giorno la libreria impara a camminare, diventa una carovana che porta libri, storie, autori in giro per i villaggi del Nord Atlante e del Sud del Marocco. Potrebbe essere la trama di un racconto fantastico… uno dei tanti che vengono da questo antichissimo paese, invece è una storia vera, quella di Jamila Hassoune, libraia di Marrakech e libraia nomade. Un’avventura iniziata negli anni Novanta che continua ancora e che viene qui narrata in forma di breve autobiografia e in una lunga conversazione con Santina Mobiglia. La voce di Jamila si alterna con le immagini che documentano gli incontri delle Carovane del libro e ripercorre, insieme alla sua storia, temi e momenti cruciali del Marocco contemporaneo.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Giorgetti – sezione letteraria?
Le molteplici facce del Marocco che ci propone il libro di Jamila Hassoune si innestano nel solco scavato tra la globalizzazione, l’analfabetismo e la crisi del mercato libraio. Le fatiche della libraia di Marrakech si snodano nelle periferie rosa-ocra delle città, nei sperduti villaggi dell’Alto Atlante, nelle oasi nel deserto nel sud del paese dove lei, portatrice del libro e cultrice della lettura incontra chi non ha mai posseduto un libro e ne ha sete di conoscerlo, di toccarlo, di leggere o di imparare a leggere. Si tratta di un’esperienza di migrazione interna in un universo plurimo con protagonista una donna al cui cuore sta lo sviluppo della cultura civica del Marocco. Ed è sempre lei che riflette, con uno sguardo critico, sulle primavere arabe, donandoci un quadro autentico sui smottamenti “tectonici” che attraversano la società marocchina incidendo sui rapporti tra tradizione e modernità, ruoli di genere e soprattutto sul quadro giuridico costituzionale in atto.
Conoscendo meglio i profondi mutamenti dell’altra sponda del Mediterraneo e i punti di vista sul mondo che ci regala questo libro, ci aiuta a capire di più i molti percorsi soggettivi che determinano le vite di persone pronte a migrare oltre il Grande mare.
ALESSANDRO LEOGRANDE
per
“Il naufragio -Morte nel Mediterraneo”, Feltrinelli 2011
Alessandro Leogrande (Taranto 1977), è vicedirettore del mensile “Lo straniero”. Ha raccontato in diversi libri con reportage narrativi le nuove mafie, i movimenti di protesta , lo sfruttamento dei braccianti migranti nelle campagne (Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud, Mondadori 2008).
“Il naufragio -Morte nel Mediterraneo”
È uno dei peggiori naufragi avvenuti nel Mediterraneo negli ultimi vent’anni. Ma soprattutto è la più grande tragedia del mare prodotta dalle politiche di respingimento. La guerra civile albanese, che infuria da settimane, spinge migliaia di uomini, donne e bambini a partire verso le coste italiane in cerca della salvezza. La crisi del paese balcanico fa paura. In molti in Italia alimentano il terrore dell’invasione e prospettano la necessità del blocco navale. Alla fine, gli unici responsabili del disastro risultano essere il comandante della Sibilla e l’uomo al timone della Kater. Intanto in Albania, i sopravvissuti e i parenti delle vittime creano un comitato per ottenere giustizia. Alessandro Leogrande ha indagato a lungo sul naufragio del Venerdì Santo: ha incontrato i sopravvissuti e i parenti delle vittime, i militari, gli avvocati, gli attivisti delle associazioni antirazziste e ha girato per le città e i villaggi dell’Albania da cui sono partiti i migranti.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Giorgetti – sezione letteraria?
Il lettore avverte la sensibilità e la passione civile che animano l’autore, di fronte a una tragedia di questa portata, che ha visto morire anche bambini ,travolti nel naufragio. Il lavoro è sostenuto da grande forza espressiva ,particolarmente visibile e intensa quando il quadro informativo cede il passo alla rievocazione e alla memoria, alla narrazione di quelle vite, di quelle donne e di quegli uomini in fuga, di quelle famiglie e di quei bambini.
“Dapprima solo gli albanesi. Poi anche i kosovari.. E poi i kurdi, i pakistani ,i turchi, gli indiani, persino gli afghani… Tutti sono passati da Valona, il porto franco di tutti i migranti del mondo.. Valona è una città di mare. Il suo odore penetra in ogni strada, in ogni piazza, in ogni appartamento. L’aria è umida e salata, come in tutti i borghi del mediterraneo(p.152)..
Ad apertura di libro la foto in bianco e nero dell’imbarcazione, dopo il recupero; un’immagine che chiede silenzio, pudore, ma anche invito a non dimenticare: “Ma i monumenti-penso ancora una volta, come dopo la mia prima visita al relitto-rimangono sepolcri imbiancati ,contenitori vuoti ,se non vengono irrorati di storie e di ricordi ,di rabbia e di redenzione. Rimangono vuote strutture se la memoria non interagisce, rendendoli luoghi vivi” (p.211).
YISHAI SARID (Premio Edizione 2013)
per
“Il poeta di Gaza”, e/o, 2012
Yishai Sarid è un autore israeliano e romanziere, specializzato in letteratura poliziesca. Il suo libro più recente, Il poeta di Gaza è diventato un best-seller , il libro è diventato particolarmente popolare dopo l’assassinio di Mahmoud al-Mabhouh, comandante militare, a Dubai nel 2010. Sarid lavora a tempo pieno come avvocato.
“Il poeta di Gaza”
L’autore, figlio di Yossi Sarid, ex ministro dell’Educazione e dell’Ambiente e leader del partito laico di sinistra Meretz, è un avvocato di successo con tutte le carte in regola per costruire una storia avvincente dal ritmo serrato.
Pubblicato in Israele nel 2009, Il poeta di Gaza suscitò l’attenzione internazionale nel 2010 a seguito dell’assassinio a Dubai di Mahmoud al-Mabhouh, leader dell’ala militare di Hamas per le analogie che i media riscontrarono con la trama del romanzo.
Non ha nome né identità il protagonista del libro come si richiede ad un agente segreto dello Shin Bet , il servizio di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele. Dopo la morte di un prigioniero nel corso di un interrogatorio, il giovane ufficiale, specializzato nella prevenzione di attentati, riceve un incarico molto delicato e diverso dal solito: fingendosi scrittore alle prime armi deve avvicinare una scrittrice israeliana, Daphna, attivista per la pace e affascinante intellettuale, per arrivare attraverso il suo amico Hani, celebre poeta palestinese, al figlio di quest’ultimo, un terrorista pericoloso che fra Iran e Siria sta preparando un attentato.
Fin dal primo incontro l’agente segreto prova un forte turbamento per la bella scrittrice e si sente progressivamente coinvolto nella sua vita familiare ben al di là di quanto gli viene richiesto dalla missione. Per poter avvicinare Hani, malato terminale e confinato nella sua casa di Gaza, promette a Daphna di aiutare il figlio Yotam, tossicodipendente e perseguitato da pusher senza scrupoli e contemporaneamente spinge le leve giuste per far arrivare “il poeta” a Tel Aviv nell’attrezzato ospedale di Ichilov.
Il lettore viene trascinato pagina dopo pagina in una vicenda piena di suspense narrata con un linguaggio immediato, convincente e dal ritmo serrato nella quale si muovono individui che si dibattono fra solitudine, frustrazione e terrore di saltare in aria per mano di fondamentalisti islamici sullo sfondo di una società complessa, piena di contraddizioni e di conflitti.
Perchè la segnalazione da parte della giuria del Premio Giorgetti – sezione letteraria?
Apparentemente un libro poliziesco, non solo racconta le (s)torture di Israele ma, nell’incontro fatale tra un agente dei servizi di sicurezza israeliani e un anziano, morente, leader palestinese rivela un’umanità schiacciata e sconfitta dal senso del dovere e dalla violenza.
Con “Il poeta di Gaza”, già vincitore del Grand Pix de Littérature Policière 2011 e candidato al prestigioso International Impac Dublin Literary Award, Yishai Sarid – grazie a una scrittura diretta e a uno stile terso e incisivo – ci regala un romanzo avvincente ed emozionante sia per la suspense continua che crea, sia per la capacità di ritrarre un affresco convincente della società israeliana e dell’universo che si cela dietro le operazioni militari israeliane con individui che, pur annichiliti in conflitti irrisolti, sono capaci di mettersi in discussione e di guardare al futuro con rinnovata speranza e fiducia.
Per chi ama le storie serrate, dal ritmo incalzante il romanzo di Sarid è una garanzia per trascorrere alcune ore di piacevolissima lettura. E dopo i romanzi di autori “forti” della letteratura israeliana come Grossman, Oz e Yehoshua che da anni abbiamo imparato ad apprezzare, Il poeta di Gaza rappresenta una novità molto gradita che speriamo dia il via ad un genere letterario, quello dei gialli, ancora poco esplorato per Israele ma che siamo sicuri saprà offrire racconti pieni di suspense e avvincenti ancor più di quelli scandinavi!